Indossandomi, in qualche modo...

 

Indossandomi, in qualche modo
come un pupo da baraccone
con berci e strilli e grandi sberle,
agitandomi,
resto lontano.
Che confusione e quanto ne godo
bugiardo
allontano lo sguardo rettile
retrattile
uno stilo che giro nella mia formaldeide
che mi trattiene
e mantiene
che possiede i contatti umani (umani?)
che ha polpastrelli e mani
e corpo.
Orbo. Da un lato non vedo
lo spessore della ragione mi impedisce
il vino mi incupisce
e non poso fuggire
andare.
L’emisfero per me più greve
in decentrate spire mi attira
verso l’angolo della stanza
in una danza
che sbatte nei muri
che lacera corpo e vestiti
se non ti decidi a fermarti che nessuno può
sostarti
che nessuno può accostarti
carezzarti
amarti.
Oh le vere canzoni piantate lungo gli argini
ad aspettare piene improbabili.
Oh scivolate di pensiero sui flussi navigabili
delle luci dei fari
improvvise oltre la curva visibili all’infinito
prima che l’udito
individui i suoni.
Oh suoni
che più non siete.
Le minuscole serenità dell’infanzia voglio
mi siano rese.
O almeno ripercepite.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione