Fra le dita l’avevo presa...

 

Fra le dita l’avevo presa,
come un fiore, una pesca profumata,
una rugiada di maggio,
un miraggio d’aria, un vento sottile
che tra le trame di un vestito t’assale,
che fa alzare le gonne delle belle giovani
per via
che ondeggiano e ancheggiano
fingendo ritrosia.
Ora, in un’epoca di solo male
anche l’immagine svanisce,
la consistenza di una lei è sparita
come se fosse stata tenacemente inutile.
Manco di definizioni e le occasioni
perdute mostro nei segni del viso,
nello scarto improvviso del passo
che scansa chi non è lì,
che intravede ostacoli dolorando
sull’anca
e la stanca passione rimugina,
il non stato immagina,
l’inatteso incontra sulla sponda
del fiume da attraversare.
Quando non si sa.
Non saprei quando, avvisami se puoi!
I rimpianti dei vecchi
hanno occhi cisposi e membra fragili.
Hanno anche fiati amari, odori acri,
sentori di muffe e sudiciume.
E per quanto mi lavi
annusandomi addosso li sento.
Povero me, povero me
meschino e lapidato.
Soldato di una speranza
ormai andata, sciancata dalla nascita.
Ai pergolati, fra le foglie vizze,
fruga la mano ma non coglie frutto,
ché stagione non è.
L’amore che non diedi
contro di me sbandiera
il suo rancore di non essere nato
e m’avvizzisce.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione