Avvenivano anche per caso le cose...

 

Avvenivano anche per caso le cose,
le apparenze, le supposizioni,
i domani.
C’erano, un tempo, occasioni
che spuntavano da sé, senza che m’avvedessi,
senza che mi rendessi conto,
impensate, inimmaginate.
Anche bellissime.
Se non ci si distrae per tortuose strade
va la mente
e si sente come un rumore
quando si va pensando
e persino sognando: mugola per lo sforzo
o rantola o gratta
un rumore come di marcia ingranata a forza
in una vecchia ciabatta d’auto.
Anche adesso
sensi e sospiri, spiriti incantati,
imbellettati tentano
e la vana, molesta, carne
illudono, ancora.
Dalla tavola del banchetto
che m’era stato imbandito,
e ch’ora avanzi e briciole imbrattano,
i gomiti poggiati forzano
per rimettersi in piedi e andare.
Ma dove non si sa.
In alto o più giù non importa,
una vela su un barlume di mare
mi pare di avere scorta,
intravista.
Potrei anche raggiungerla
se non scostassi gli occhi,
potrei, intimorito e pentito, chiedere
aiuto,
potrei divinizzarmi e andarle incontro
calcando l’onda lungo le spume,
potrei colmarmi di piume
e volarle incontro.

Ma certe sere, quando capisci l’inutilità
del tuo startene al mondo,
quelle sere che fanno male
e domandano insistentemente spiegazioni,
che ti mettono addosso, curvo,
un peso che ti dia coscienza
che non cessi di chiederti perché
sia successo a te
l’infelicità di capire, quasi,
di percepire quasi
il vuoto di imperfezione di questa unione
di cellule e costellazioni.
L’inutilità e l’importanza
di questa danza
che porta soltanto a morte sicura
poveri noi
capitati, per caso,
diventati, nostro malgrado,
protagonisti di una personale, irripetibile,
picaresca avventura.

Canto d'inverno. Mia ultima stagione